Uso della teoria e tecnica del Multistrato in una supervisione di un gruppo e dell’istituzione in cui è stato condotto
Le streghe di Benevento nel bosco di Rashōmon
Tesina della scuola di specializzazione: "Istituto Italiano Psicoanalisi di Gruppo"
Allieva: Loredana Vecchi
Relatore: Guelfo Margherita
Le streghe di Benevento1 nel bosco di Rashōmon2
Prologo
Presenterò in questo lavoro considerazioni emerse dal punto di incontro e di articolazione tra il modello teorico dell'Insieme Multistrato Complesso3 e l'esperienza clinica che ho attraversato nelle sedute del gruppo a cui farò riferimento, che ho condotto in ambiente istituzionale. Ciò integrato da quanto discusso sul materiale delle sedute nel lavoro di una supervisione facente parte del programma didattico della nostra scuola. Ho considerato questa supervisione come un lavoro molto creativo e interpretativo dentro cui mi è stato possibile comprendere alcune cose delle relazioni tra le istituzioni e la psicosi a livello di tensione tra i vari livelli in cui essa era disposta. Pertanto il mio contributo teorico in questo lavoro riguarda la modalità di G. Margherita di guardare i fenomeni della psicosi nell'interno delle istituzioni, cioè l'elaborazione dell'istituzione alla luce del Multistrato Complesso. La modalità di elaborazione del materiale clinico, durante le supervisioni del gruppo, è stata descrivere come tale materiale si è collocato all'interno di queste cornici. La discussione sul materiale delle sedute è fatta attraverso i transfert sincronici4, prendendo contemporaneamente insieme, ai vari livelli l'individuo, il gruppo, l'istituzione, la supervisione, fino al contenimento esercitato per la mia formazione dal vertice del programma e dalle richieste della nostra scuola di specializzazione.
Prenderò quindi in considerazione il materiale clinico contemporaneamente dei cinque vertici descritti attraverso il loro costituirsi come occhio della mosca5 per dispiegare la confusione presentata da un universo psicotico multilivello che organizzava/disorganizzava il campo clinico.
Il gruppo da me seguito rappresenta una condizione gruppale particolare per svariati motivi, necessariamente diversa da quella del piccolo gruppo a funzione analitica, per la comprensione dei quali è importante che io descriva ruoli e funzioni che costituiscono il setting multistrato complesso di questo lavoro, in cui si riflettono contemporaneamente non solo il gruppo su cui lavoro, ma necessariamente l’intera istituzione. Il gruppo a cui mi riferisco è un gruppo di utenti psicotici che si riunisce periodicamente con gli operatori all'interno di una istituzione psichiatrica (Servizio di salute mentale territoriale), dunque in un setting appartenente all'istituzione. E' condotto da me che nell'istituzione ho il ruolo di psichiatra responsabile di struttura. Una parte degli utenti che vi prendono parte sono individualmente seguiti direttamente da me, nella mia configurazione di dirigente psichiatra, e per questo incontrati anche al di fuori del gruppo, con controlli periodici e per le terapie farmacologiche. Altri sono utenti che frequentano il Centro Diurno, di cui sono responsabile, alcuni dei quali hanno come referente altri psichiatri dell'istituzione. Inoltre prendono parte al gruppo la terapista della riabilitazione e due operatori del Centro Diurno che si avvicendano a seconda delle turnazioni stabilite dall'istituzione, che naturalmente ha il ritmo di ventiquattro ore su ventiquattro. Il gruppo di cui sto parlando e da cui partono le osservazioni è una sezione trasversale dello spazio-tempo che costituisce il più ampio setting istituzionale6. Esso si riunisce una volta a settimana sempre nello stesso giorno, allo stesso orario e nello stesso luogo e per la durata di un'ora e trenta. Le persone che lo frequentano sono variabili e sono in media quindici. E' un gruppo aperto (come è aperta tutta l'istituzione) a chi vuole venire e per il periodo che vuole venire, e riguarda i pazienti dell'istituzione, ma guardati nell'ottica del taglio traversale della seduta di gruppo. I pazienti attraversano questo setting come vogliono in quanto la caratteristica del confronto e contenimento della psicosi è legata alla totale porosità ed elasticità del setting di contenimento che deve certamente esserci, ma se non è flessibile e poroso non può contenere i fenomeni istituzionali e i fenomeni psicotici legati alla dimensione istituzionale. Pertanto ci sono confini aperti e semipermeabili. E' lasciata totalmente libera al gruppo la dimensione di muoversi come gruppo nell'interno di quella che è una griglia di regole istituzionali, che sono quelle delle istituzioni, e che io accetto e non contrasto, bensì le porto nel gruppo come limiti e vengono vissute come la presenza di un altro componente del gruppo, l'istituzione, che porta le sue libere associazioni. E' un gruppo non legato a seguire la terapia dell'individuo, ma a seguire lo sviluppo degli accadimenti istituzionali e quindi l'efficacia dell'istituzione e di una sua possibile impostazione scientifica nei confronti della psicosi. E' una finestra anche controtransferale dell'istituzione su sé stessa. Per cui l'ottica seguita in questa tesina non è tanto quella del lavoro di un gruppo con la patologia dei pazienti che la compongono, quanto la possibile modalità con cui un insieme istituzionale può relazionarsi con la frammentarietà psicotica e può contenere e seguire l'evolversi della frammentarietà psicotica dell'intero insieme, quindi anche del campo allargato al di fuori dell'istituzione stessa (campo sociale, burocrazie, politica).
Ho usato questa modalità perché questo gruppo nell'interno di questa dimensione multistrato istituzionale diventa il palcoscenico osservabile dell'istituzione e di ciò che vive in scena, un teatro setting (A. Ferro). Per cui la storia longitudinale che si svolge è non solo la storia del gruppo ma anche quella dell'istituzione, mentre gli individui che vi partecipano si ricostruiscono la loro.
In conclusione, trovandomi nella condizione che ho già esposto, ho questa realtà dentro cui operare e ho ritenuto di affrontare questa peculiare situazione con le modalità che ho descritto, estendendo il setting all'intera istituzione.
Questa che descriverò dunque si presenta come una condizione multistrato e, come nelle teorizzazioni di queste situazioni multistrato, il trattarla comporta una necessaria fluttuazione, flessibilizzazione, adattabilità della produzione dei setting, dei transfert e delle modalità interpretative che avvengono in questo caso. Mi riferisco di fatto al setting multistrato, al transfert sincronico e all'interpretazione agita7. Il vertice adottato quindi non è più un vertice unico binoculare, ma è un vertice ad occhio della mosca.
“Setting, transfert e interpretazione, se osservate analiticamente nel contesto poliadico multistrato, sono configurazioni soggette a continue trasformazioni elastiche che permettono però il mantenimento invariante della loro identità fenomenica negli assetti nuovi; (…) essi nella condizione macrogruppale sono strumenti ordinatori di fenomeni caotici che si svolgono nella polidimensionalità del multistarto.....e costituiscono nell'interno della turbolenza dei fenomeni mentali collettivi, strutture polifocali di stabilità elastica” (G. Margherita, L'occhio della mosca, in L'insieme Multistrato ,Armando ed. Roma, 2012).
Il mio portare l'insieme di questi vertici, alla scuola, come tesina, rappresenta l'ultimo stadio del multistrato per me esplorabile in questa dimensione, in cui c'è sia il mio coinvolgimento emotivo e sia il tentativo di dare un senso unitario al pensiero della psicosi degli individui, del gruppo, delle istituzioni, mia propria, della coppia di supervisione. La speranza è che la dimensione istituzionale della nostra scuola possa fungere da contenitore finale perché gli elementi psicotici confusi rintraccino il loro giusto e necessario contenimento, attraverso l'assunzione di senso del complesso dell'intero lavoro.
Reportage clinico
Violenze sessuali multistrato
E' arrivata una nuova persona nel gruppo, una donna di 45 anni, e anche se manca qualcuno oggi il gruppo è composto da sedici persone. Si aggiunge uno specializzando in psichiatria che sta effettuando il tirocinio richiestogli dall'Università. Qualcuno racconta di una notizia sentita in televisione relativa ad un furto e alla violenza che aveva innescato. Alcuni accennano a furti subiti, a rischi, ai timori della violenza che si potrebbe subire nell'essere derubati. Qualcun altro, ripete con automatismo ecolalico parti delle cose che si stanno dicendo. Si va creando una atmosfera stagnante e greve, ben presto contrastata da Danila, la nuova arrivata, che con modalità ipomaniacale cerca di dissiparla e sembra voler prendere il controllo del gruppo ed indirizzarlo verso una dimensione meno sofferente. Con modalità paternalistica magnifica l'esperienza che sta facendo in un altro gruppo, di natura religiosa, in cui c’è un leader, di cui sembra volerne fare le veci nel nostro, dove avevano risolto varie questioni e problemi generali attraverso le indicazioni dei comandamenti e i cammini spirituali che elevano verso la gioia. Gira intorno alla questione che la funzione del gruppo che stiamo facendo debba essere quella di farci stare tutti bene insieme, di trovare la serenità, di divertirci, utilizzando il riunirci non per ricordarci del dolore ma per dimenticarlo. Prontamente e con la veemenza reattiva e gli accenti di squalifica che lo caratterizzano, Checco raccoglie questa istanza sostenendo che nel gruppo le problematiche, come quelle emerse poco prima, non devono esistere e lo stare insieme deve servire a dimenticarle. Per lui la funzione del gruppo deve essere quella di trovare un benessere come si fa nei salotti di conversazione televisivi.
Nel gruppo c'è invece un vissuto doloroso che cerca di emergere di tanto in tanto da qualche parte attraverso qualcuno, molto intenso, ed è un vissuto molto legato alla violenza, agli abusi, al non essere considerati, al non ricevere amore. Ogni qual volta emerge qualcosa di doloroso loro due cercano in ogni modo di reprimerlo e Danila in particolare continua a rappresentare come gruppo ideale, situato da un'altra parte, quello religioso che sta frequentando. La coppia in tal modo cerca di violentare il vissuto di sofferenza del gruppo, in una maniera così intensa da essere percepita quasi come un'azione, con un salvifico ideale dello stare insieme.
Proprio come se fosse il piacere del violentatore. Forse stanno cercando di dire “Noi siamo un gruppo che si deve vedere per il piacere di violentare la nostra parte intristita”. Sembra emergere una teoria in cui è molto importante, in un gruppo in cui è presente molta sofferenza, che arrivi un violentatore che porti un piacere. Ovviamente la sessualità contiene un piacere, ma se portato nei termini di una violenza non necessariamente lo è, specialmente se la persona è triste e vuole esperire ed esprime tutta la sua tristezza. Per cui provo a dare come restituzione di quanto sta avvenendo che si stava presentando all'interno del gruppo l'idea che un'alleanza violentatrice del dolore potesse far scomparire il dolore; ma c'era da chiedersi se una volta violentato il dolore davvero scompare.
Entrano sommessamente nel gruppo racconti di violentati e di violentatori. Luce si ricorda di una molestia sessuale subita a dieci anni. Danila riferisce dei maltrattamenti a cui è sottoposta in famiglia Mara, di cui è cugina e di cui conosce le vicende, mentre Mara trova voce per accennarli. Antonia fa molti tic con gli occhi e fatica a parlare degli abusi che subisce ad opera del fratello minore. Rita, l' operatrice, accenna ai torti ricevuti dall'ex marito. Rosa aumenta la frequenza dei suoi cambiamenti di posto, con sedia al seguito, all’interno del gruppo. Annunziata accenna alle molestie ricevute dal suo datore di lavoro quando era ragazza e all'amore che non sente di ricevere dalla sua famiglia. Gian Piero dice che l'organizzazione che gli controlla il pensiero con le onde magnetiche ha tentato di penetrarlo analmente e, pur non capendo come abbiano potuto fare, vuole essere aiutato a denunciarli. Checco dal canto suo interviene urlando e affermando che di fronte alle violenze subite da Antonia bisogna agire e che io devo intervenire contro la sua famiglia e risolvere la situazione.
Io stessa avverto una tensione emotiva così forte e un senso di rabbia nei confronti della parte del gruppo che si rappresenta sopraffattrice e abusante. Sensazioni così intense da premere con insistenza nel mio stomaco per risalire e per tradursi in un intervento autoritario che faccia cessare quello che emotivamente sento come un sopruso nei confronti della sofferenza. In questa mia atmosfera interna di identificazione con la parte abusata del gruppo penetrano, prima come piccoli frantumi irregolari (intrisi di quella sensazione intensa di spiacevolezza che appena precede la frantumazione, perché ci si rende conto che non si riesce più ad evitarla) poi via via come immagini più definite e lucide, ricordi di accadimenti istituzionali, più o meno recenti, contenenti una qualità violentatrice nei confronti del servizio dove lavoro e anche più direttamente nei miei. Si ricompone così il ricordo dell'arrivo dei NAS che piombano nel Servizio come precipitati di elementi beta invadendo ciecamente gli spazi e i tempi del lavoro terapeutico; il ricordo dell'ordine di servizio del coordinatore del Dipartimento, con il quale fraziona assurdamente tra i dirigenti psichiatri gli incarichi di responsabilità della stessa struttura, e così via. Ricordi di avvenimenti e di stati d'animo, immagini di stupri e sottomissioni come violenze sessuali ricevute dall'istituzione, dove lo stupro è “Io comando!”.
Entra nella stanza un infermiere per ricordare ad un paziente che prima di andare via deve fare la fiala di depot. Il clima creato dall'argomento che sta emergendo sembra colpirlo. Resta qualche istante in piedi, poi si siede sul bordo della scrivania e si trattiene nel gruppo.
Lo psichiatra tirocinante dice che la porta aperta della stanza del gruppo gli fa pensare alla porta del SPDC in cui lavora che invece è chiusa a chiave, pratica istituzionale che considera violenta e abusante nei confronti delle persone ricoverate e della sofferenza mentale. Sente che la porta aperta della stanza in cui siamo favorisce una atmosfera di libertà creativa e trasformativa, non assoggettata a ritualistici modus operandi esperiti in altri servizi.
Intanto mi si riaffacciano alla mente i racconti fatti da Luce e da Berri, in controlli clinici individuali, al di fuori del setting gruppale ma dentro il setting istituzionale, essendo il loro referente psichiatra. Si tratta di una storia che li ha riguardati in ruoli diversi e con vissuti diversi e che presentava contenuti reali e immaginativi di intrecci di sesso, di violenza, di abusi. Luce, in un incontro avvenuto la settimana precedente al gruppo a cui si fa riferimento, mi aveva raccontato di essere molto preoccupata, nonché dispiaciuta, perché era stata rimproverata e minacciata di denuncia da parte del padre di Berri in quanto accusata di aver abusato del figlio diciassettenne di quest'ultimo, cioè di suo nipote, come il ragazzo stesso aveva raccontato. Luce riteneva che invece era stato il ragazzo a tentare una seduzione e a cercare di avere un rapporto sessuale con lei, pur sapendo che tra lei e il padre alcuni anni prima c'era stata una storia. Sosteneva di essere riuscita alla fine a sottrarsi alla tentazione indotta dalla seduzione e al compimento dell'atto sessuale. Inoltre aggiungeva che con il padre di Berri, tempo addietro, sentendosi reciprocamente attratti, si erano scambiati un bacio.
Berri mi aveva chiesto invece un appuntamento straordinario, cioè prima di quello stabilito, perché diceva di stare molto agitato e angosciato e di avere bisogno di aumentare i farmaci. Così nel corso del colloquio, tenuto alcuni giorni prima del gruppo e che ovviamente gli avevo concesso, mi aveva raccontato , con disperazione, della rabbia e del disprezzo che stava nutrendo per Luce, per aver tentato di fare sesso con suo figlio, tra l'altro minorenne. Si sentiva, così, tradito anche nella loro amicizia. Il padre, per questo accaduto, gli aveva posto il divieto assoluto di frequentare Luce. A causa di tutto ciò si sarebbe sentito a disagio a frequentare il gruppo dove la avrebbe incontrata. Berri nel suo passato remoto aveva abusato della propria figlia di tre anni e poi si era immediatamente autodenunciato inorridito dal suo stesso gesto. Poi la psicosi e le risposte familiari e istituzionali avevano scritto tutto il seguito della sua vita. Entrambi i pazienti sono immersi in un incestuoso familiare senza soluzione.
Come già detto, io non sto solo nel gruppo perché sono anche la persona che sta nell'istituzione e questi pazienti fanno capo a me come pazienti istituzionali8, per cui vengo a conoscenza, nelle circostanze che ho citato, di questa storia e proprio per questa mia posizione mi sono potuta permettere di guardare come l'intera istituzione l'ha portata attraverso Luce e Berri nell'interno del gruppo e come il gruppo, che è un gruppo nell'istituzione, l'ha potuta trattare. Si è trattato quindi non di un qualcosa che ha a che fare con l'analisi del gruppo, ma dell'analisi del gruppo dentro l'analisi dell'istituzione, perché è presente nell'analisi del gruppo un pezzo accaduto in un altro setting.
Nell'analisi di gruppo questo viene dall'esterno ma nel setting dell'istituzione è interno all'istituzione. Perciò sto al contempo facendo sia l'analisi del gruppo sia l'analisi dell'istituzione.
Perché queste violenze hanno anche il significato di rappresentare delle violenze a cui l'istituzione si sente costantemente sottoposta. Così mentre il gruppo si fa le sue violenze e i pazienti si rivivono le loro, l'istituzione al suo livello si sta vivendo le violenze che sente di subire. Cioè c'è una violenza a cui l'istituzione è sottoposta e che l'istituzione si elabora in questo campo, in questo setting. Forse l'istituzione si sta riferendo al clima dentro cui si svolge il suo lavoro, dentro cui succedono accadimenti come ad es. quelli che si sono riaffacciati nella mia mente ed altri ancora, come quello riportato dal giovane psichiatra. Cioè è possibile vedere come l'istituzione viene stuprata.
I pazienti, come ho detto, ne avevano parlato con me separatamente e in momenti distinti ma non ne avevano parlato nel gruppo. Si è svolta questa seduta di gruppo e questo contenuto è emerso lì, cioè altrove e, non in maniera specifica, è venuta fuori tutta questa dimensione della violenza e del violentatore, anche se nella seduta la cosa è come se fosse accennata solamente.
Questa cosa, non esplicitata da Luce e Berri nel gruppo, era passata in qualche modo attraverso la conoscenza di loro da parte dell'istituzione e in un altro modo era arrivata. Io nel gruppo mi trovavo a conoscere queste storie essendo coincidenti in me, come ho detto, la funzione di conduttrice del gruppo ma anche dell'istituzione in toto, quindi costituivo un luogo di contatto tra il gruppo e l'istituzione. Il gruppo non è abilitato a sapere certe cose ma al di fuori e dentro di lui c'è il campo istituzionale che queste cose le sa. Dunque pur non essendo stato il gruppo informato direttamente dai singoli di questa storia, esso è contenuto nel campo dentro cui esistono e circolano gossip e storie cliniche che, tra l'altro, io stessa in quanto legata ai ruoli istituzionali, già contenevo in me. In altre parole è come se aleggiassero frammenti di elementi beta, un conosciuto non pensato dal gruppo che esso assume nella dimensione di gruppo e lo digerisce in alfa.
Era come se il gruppo stesse elaborando questo episodio, l'episodio cardine, attraverso un campo tutto associativo perché quella cosa non era parlabile perché non conosciuta come tale, come cosa accaduta, come esperienza, ma era parlata in un altra maniera. I problemi della permeabilità dei confini alla violenza, della precarietà dei ruoli e della invasione del contesto vengono vissuti a tutti i livelli del setting multistrato. Questo senso di violenza e di stupro, di intrusione, di precarietà, di labilità tipico della psicosi viene vissuto a tutti i livelli dell'insieme osservato, cioè a livello dell'individuo, a livello del gruppo su cui il materiale è presentato, a livello dell'istituzione9 e a livello del contesto.
Nell'insieme generale credo che il problema è stato elaborato al meglio, sia dai singoli, sia dal gruppo , sia dall'istituzione, cioè in sacche in cui esso è pensabile e raggiungibile, non in quelle in cui non è pensabile e raggiungibile. E' come dire che c'è una percezione indiretta di questa cosa, ma che non è sufficiente per il sottosistema, cioè per i nuclei familiari di Luce e Berri che si confrontano separatamente all'interno dell'istituzione. Mentre invece per la dimensione gruppale il problema è sentito e, parlato indirettamente, è stato elaborato come un sogno.
Lo scenario della supervisione
Ero senza fiato; le gambe mi reggevano appena: da quando ero entrato nel bosco tali erano state le prove che mi erano accorse, gli incontri, le apparizioni, i duelli, che non riuscivo a trovare un ordine né ai movimento né ai pensieri.
(I.Calvino “Il castello dei destini incrociati”)
Farò riferimento ora al rapporto di supervisione, inquadrato nella logica di questa seduta portata, che costituisce la risoluzione in positivo di un qualcosa dentro cui c'è una violenza sessuale che viene domata al servizio della produzione. Mi riferirò cioè al lavoro affrontato per far diventare questa cosa terapeutica. Gli stessi accadimenti, avvenendo in scenari diversi, possono presentare luoghi in cui sono elaborati in termini terapeutici. Provo a mostrare come nella supervisione il campo multilivello costituito da questo insieme di vertici così frammentato, si riordini in un insieme unico secondo il principio dell'occhio della mosca. La supervisione rappresenta, infatti, un altro livello del campo multistrato che fa parte del complesso considerato: è come se questa storia desse al campo parallelo della supervisione un luogo, un setting, dove questo accadimento si può sviluppare con enti diversi, con sensi diversi, ed è lo stesso accadimento, in parallelo, che su un altro scenario, costruisce un'altra storia fantastica. Ad es. la complessità degli accadimenti di cui sin qui ho parlato, avvenuti nell'interno della foresta di Rashōmon delle streghe (mia metafora della mia istituzione) di Benevento. Ed è possibile vederla in quanto questo setting di supervisione è profondamente connesso con questo setting istituzionale. Esso diviene il sovrasistema che contiene il setting istituzionale. E' una aggiunta di dimensione che trasforma gli enti, trasforma il campo, trasforma il setting, trasforma i transfert, cioè li rende sincronici, ne raccoglie la distribuzione ai vari livelli e trasforma l'interpretazione. Perché è nel setting di supervisione, cioè, che il verbale e il pensato acquistano senso interpretativo e se ne può parlare e costruire la storia altrimenti inesprimibile. Allora è come dire che se prendiamo tutto l'insieme, esistono luoghi diversi stratificati in cui la storia diventa via via sempre più esprimibile svolgendo i livelli in cui esprime le emozioni, poi la verbalizzazione, il racconto, fino alla fine in cui esprime il senso.
Rashōmon e la poliocularita
Nel lavoro con il supervisore mi pongo la questione di una possibile restituzione terapeutica per Luce e Berri nella polisemia di voci che percorrono il campo. La mia prospettiva della terapia individuale di Luce e Berri si mischia a quello che ho chiamato l'effetto Rashōmon10, una composizione cioè di tutte le voci e di tutti i punti di vista ( gruppo-istituzione-scuola-supervisore e così via) e della trasformazione dei differenti linguaggi che essi usano. Le due questioni mi appaiono fortemente confuse ma congiunte e la reverie che ricevo nella supervisione me le fa intuire come risolvibili.
Per rendere possibile e raggiungibile per i singoli, attraverso il gruppo, una elaborazione di questa sofferenza ho ritenuto di non poter considerare modalità di inquadramento classico, bensì di includere tutte le fantasie alternative nascoste all'interno dell'inconscio gruppale per arrivare al centro dei nodi vissuti in comune. Si apriva così, a tutti i livelli, una ricostruzione di accadimenti incestuosi o violenti, simili a quelli vissuti nella realtà dei nuclei familiari, elaborata dal gruppo su un altro versante, e presentata come un sogno, come una produzione onirica, fantastica, come una favola, che potesse avere un congiungimento raccoglibile dai protagonisti della storia reale. Una sorta di possibile elaborazione del racconto in modo che diventasse come un sogno comune che parlasse per tutti. Tuttavia non raccontato necessariamente come tale nel gruppo se non, come si è già detto, attraverso la trasformazione dei singoli linguaggi individuali, in modo che potesse risuonare nell'interno come il racconto dei punti di vista differenti (Rashōmon).
Evocata dai miti della nostra madre terra locale, della quale tutti noi che partecipiamo al gruppo siamo figli (Le streghe di Benevento), la strega poteva far parte facilmente della costruzione di un mito nel gruppo che avesse anche possibilità di adattabilità ai singoli personaggi. Una strega che se fosse stata persecutoria per una parte dell'uditorio, avrebbe potuto essere anche tenera e indifesa agli occhi di chi nel nostro scenario fa la parte della strega. Come dire che la strega come tale è il punto di vista di Berri ma non di Luce, che si è proposta invece come la violentata, e che è poi la maniera in cui l'ha trattata il gruppo in cui c'erano episodi di seduzioni infantili. E poi c'era anche la fantasia psicotica di Berri che si vive come un orco violentatore di bambini. Cioè dovevo immaginare una maniera di mischiare le carte per riordinarle come in una smazzata di tarocchi11.
Il supervisore tuttavia mi suggerisce che per la costruzione di una storia è richiesta una diacronizzazione nel tempo, perché al momento è come se ci fosse la struttura dell'accadimento, la maniera in cui, dentro il gruppo o fuori del gruppo, ognuno per conto suo rivive l'evento e la brutalità dell' evento, ma non c'è ancora l'avvio in comune di una mitopoiesi. E che è come se si dovesse dipanare un indistricabile groviglio di nodi, in cui le singole narrazioni riacquistano una restituzione interpretativa derivata dall'intreccio gruppale a cui via via si riesce a dare il senso in comune.
Aggiunge poi che nel tempo è come se tutto questo materiale può organizzarsi in una dimensione narrativa che abbia una fluidità raccontabile, perché la narrazione diventa tollerabile attraverso una dosata distribuzione di ruoli e di parti. In questa maniera la narrazione diventa la restituzione interpretativa in parte costruita via via dal gruppo, in parte con il contributo della conduttrice.
Allora ritorno alla strega, e mi sembra che il supervisore stia dicendo che può configurarsi una narrazione globale alla Rashōmon con vari punti di vista. Ad es. la strega dal punto di vista della strega, che naturalmente non si descriverà come strega, per cui magari non viene fuori il suo essere strega nella partecipazione del mito. Nella partecipazione del mito cioè ci sarà si il suo essere strega, però nel racconto di Berri che la percepisce pericolosa per il figlio. Ma per lei, Luce, probabilmente c'è il volersi rivivere e riprendere l'amore di Berri, elaborarsi la perdita che lei ha avuto del suo amore, ecc. Quindi è come dire che il tipo di ricostruzione è come la strega può essere e viene differentemente ricostruita. Cioè l'atteggiamento di ricostruzione del punto di vista narrativo è “la strega come rappresenterebbe sé stessa nell'interno del racconto”, cioè a seconda del punto di vista e della storia. Per ora dunque non costruisco e restituisco l'interpretazione ma lavoro ad un modello (groviglio-fili) di cui in futuro cerco le differenziazioni per vedere il groviglio come occhio della mosca e i fili come visione narrativa da un punto di vista binoculare. Pertanto se la presentazione è quella di una narrazione gruppale polioculare, alla domanda che mi pongo “che cosa potrebbe essere successo in questo bosco”, la risposta potrebbe essere “ di tutto”. Penso alla psicosi e alla confusione più nera, da cui, a fatica, è possibile districare dal groviglio i singoli fili di racconti individuali, tutti psicoticamente veri e falsi rispetto all'insieme su cui si stagliano.
Una psicosi che il supervisore dice che può diventare utilizzabile se riusciamo a tirare fuori un magma che è visibile e raccontabile anche come tale. Raccogliendo in un unicum tutto ciò che ognuno racconta da un punto di vista differente. Riacchiapparlo è utile perché la strega si racconta il suo dolore di essere stata abbandonata, mentre Bernardo si racconta come da lei perseguitato, ecc.
Credo di capire quindi che quello che io posso aspettarmi come posizione terapeutica e come prospettiva per il futuro è la possibilità di rendere i ruoli, in termini bonari, percorribili da ognuno. Che ognuno ricostruisca la sua narrazione non in termini conflittuali con la sua immagine. Luce non si può ricostruire come la strega o Berri come il violentatore di bambini, però ognuno di loro ritrova nel groviglio del racconto elaborativo una sua modalità di ricostruzione che può essere coerente con una tollerabile visione di sé stesso. Il materiale del sogno non sta nel sogno manifesto ma nel materiale scisso nella dimensione inconscia: cioè nel racconto dell'altro fuso col proprio nel magma comune.
Il supervisore, rivolgendosi alle altre parti strega di me che percorrono questo bosco, dove si incontra la “taverna dei destini incrociati”(Calvino), mi domanda a quale scenario si trova a partecipare la parte di me che sta nell'istituzione e che storia di violenza sessuale racconta. E quali fantasie elicita in me il bosco di Rashōmon nel presentare questo materiale alla scuola per continuare il vario rapporto contenitore-contenuti.
Sul palcoscenico dell'istituzione mi torna “(…) alla memoria la storia che mi ha portato qui, cerco di riconoscere cosa mi è successo e di mostrarlo agli altri che intanto sono lì e che cercano nelle carte pure loro” (La Taverna dei destini incrociati, pag.51 de “Il castello dei destini incrociati” I. Calvino). In esso irrompe il ricordo dell'episodio, avvenuto al livello reale dell'istituzione, risalente a poco tempo addietro, in cui i NAS sono penetrati nel servizio invadendo il luogo e il tempo del gruppo che vi si stava svolgendo, con la prepotenza sadicamente sessuale del potere. Si staglia al centro della scena il sorriso stuprante del carabiniere che, di fronte alle mie osservazioni mi dice poco rispettosamente:“Dottorè.........! Io sono più psicologo di voi....forse non avete capito.....noi siamo i Carabinieri e possiamo fare quello che vogliamo”.
In quanto alla parte di me nel bosco delle streghe che va a presentare il lavoro alla scuola come materiale di esame, essa si perde nella molteplicità delle voci e dei punti di vista, e sente penetrare lentamente la sua fantasia da una foschia, via via più densa, che trascina con sé il timore che questo lavoro non sarà accettato....che sarà distorto...distrutto....e lei verrà sottomessa. Naturalmente mi aspetto che la parte creativa che è venuta dalla me che sta invece dentro la supervisione, riesca in fondo a contrastare questo magma e a portare dentro l'istituzione una creatività più allargata, un impulso creativo che sposti il discorso dal gruppo all'istituzione. A stimolare soprattutto l'inversione terapeutica del campo, che io ho sperimentato dall'entrare nella supervisione in uno stato di foresta confusa con un groviglio e dall'uscirne con l'avere una linea mia di esperienza e di pensiero creata insieme alla reverie del supervisore.
1 Secondo la leggenda Benevento era il luogo di raduno di streghe di varia provenienza, che si davano appuntamento sotto il famoso Noce dove davano vita, durante i sabba, a banchetti, danze, orge con spiriti e demoni. Alcuni studiosi affermano che si trattava di riti eseguiti dai Longobardi (XIII secolo) di tradizione pagana. Altri ritengono che si trattava della celebrazione, in epoca romana, del culto di Iside che conteneva in sè Diana (da cui Janare) e Ecate, con riti legati alla fertilità e alla madre terra. Un altro autore sostiene che le streghe fossero druidesse, donne di vasta sapienza, detentrici di conoscenze antiche e preziose, costrette a subire accuse di stregoneria e soprusi e violenze, torture e processi. Ancora oggi a Benevento qualcuno dice di udire, nelle notti buie, rumori, grida, frastuoni, risate, trascinati dal vento, mentre nel cielo appaiono lampi di luce e ombre sospette.
2 Film del regista giapponese Akira Kurosawa, 1950, nato dalla trasposizione, operata dal regista, di due diversi racconti (Rashōmon e Nel bosco) dello scrittore Akutagawa Ryunosuke (1892-1927) e ispirati a due racconti del periodo Heian (794-1185). I due racconti di Akutagawa nell'edizione italiana si trovano in: Ryunosuke Akutagawa, Rashōmon e altri racconti, TEA, Milano 2002. Il film tratta di un accadimento increscioso determinatosi nel bosco e delle diverse versioni che ogni personaggio coinvolto dà dell'accaduto. Il nucleo del racconto sembra individuarsi nella pluralità delle percezioni soggettive e dunque dei punti di vista. Inoltre il film stesso ha dato luogo a numerose letture e interpretazioni da parte dei critici determinando l'estrinsecazione di numerosi punti di vista, ciascuno degno di una propria verità.
3 Trattasi di un modello teorico che Guelfo Margherita utilizza per spiegare ed indagare sulle gruppalità umane e sui sistemi mentali transpersonali, definito come una dimensione macrogruppale globalizzante in cui sono contenute le relazioni tra tutti quei fenomeni che appartengono all’intreccio delle relazioni complesse tra entità individuabili a livelli differenti dei sistemi umani (G. Margherita “L’insieme multistrato. Gruppi, masse ed istituzioni tra caos e psicoanalisi”Armando editore Roma, 2012)
4 Vedi Glossario The complexmultilayerset G Margherita, S. Rotondi, F. Pone, M. Esposito, M P. Famiglietti, E. Cadente
5 L’occhio della mosca è una metafora con cui G. Margherita tenta di descrivere e integrare la particolare modalità collettiva con cui un gruppo costruisce la sua visione del mondo, e che pertiene alla poliocularità. Vedi Glossario The complexmultilayerset G Margherita, S. Rotondi, F. Pone, M. Esposito, M P. Famiglietti, E. Cadente
6 Per il rapporto tra setting gruppale e setting istituzionale vedi L'istituzione come setting caotico, in G. Margherita “L’insieme Multistrato. Gruppi, Masse, Istituzioni tra Caos e Psicoanalisi” Armando editore Roma, 2012.
7 Per setting multistrato, transfert sincronico ed interpretazione agita, vedi Glossario The complexmultilayerset G Margherita, S. Rotondi, F. Pone, M. Esposito, M P. Famiglietti, E. Cadente
8 Si può ritenere che questa cosa può ingenerare delle confusioni. Ritengo pertanto opportuno chiarire perché non vado in confusione o perché, pur andando in confusione, riesco a rendere produttivo questo stato. L'elemento che salva dalle confusioni è la possibilità di tenere separati e uniti gli insiemi. In più la confusione è un elemento fortemente creativo perché crea formazioni nuove ed è l'occhio della mosca. La maniera in cui io gestisco queste confusioni è riuscire a mantenere sovrapposti i campi e scissa una parte mia istituzione e una parte mia gruppo e permettere però, attraverso una membrana semipermeabile, dentro di me il fluire delle informazioni, però ordinate ai due livelli. La mia possibilità di non confonderle è legata all'aver acquisito un sufficiente senso di identità, della continuità e separatezza del ruolo di conduzione del gruppo e del ruolo di gestione dell'istituzione. Cioè sento che sono due miei compiti, due mie funzioni che sono separate e unite da una membrana semipermeabile . Riesco così ad essere Io me e noi gruppo e noi istituzione e noi allieva dell'IIPG. In fondo riesco a tenere separati questi aspetti e a far convivere l'occhio della mosca.
9 Una riflessione teorica possibile potrebbe essere allora chiedersi che valore hanno nel gruppo i racconti di stupro reale o raccontato di cui è riuscito a parlare e quanto a livello dell'istituzione essa ha usato il gruppo per raccontarsi la fantasia di stupro in essa contenuta. I due pazienti hanno raccontato all'istituzione la storia di violenza per cui nell'istituzione è presente lo stupro. L'istituzione ha utilizzato la sua permeabilità col gruppo per raccontare la irraccontabile fantasia contenuta in sé stessa.
10 Si intende un contenuto, come quello della pellicola del film di Kurosawa, agevolmente penetrabile da tanti punti di vista e conservante il principio della unitarietà del racconto
11 Avevo in mente le storie dei tarocchi fatte da Italo Calvino ne “Il castello dei destini incrociati”, 2016, Mondadori.
BLIBLIOGRAFIA
Bion, W.R. (1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando ed., Roma,1970.
Bion, W. R. (1963) Gli elementi della psicoanalisi, Armando ed.,, Roma, 1973.
Bion, W.R. (1961), Esperienze nei gruppi, Armando ed., Roma, 1971.
Bion, W.R. (1962), Apprendere dall'esperienza, Armando ed., Roma, 1972.
Bion, W.R. (1970), Attenzione e interpretazione, Armando, Roma, 1973.
Bion, W.R., Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita. Armando ed., Roma.
Correale A, Area traumatica e campo istituzionale, Borla, Roma.
Corrao, F., Orme, Raffaello Cortina, Milano, 1998
Ferro, A., Basile R., Il campo analitico, Borla, Roma.
Ferro, A., La psicoanalisi come letteratura e terapia,, Raffaello Cortina, Milano.
Kaes, R., Il gruppo e il soggetto del gruppo, Borla, Roma, 1994.
Margherita, G., Il calcio alla gabbia, un'istituzione come caso clinico, 10/17 Ed., Salerno, 1997.
Margherita, G., Gaia e l'homo sapiens. Fantapsicosaggio, Franco Angeli, Milano, 2005.
Margherita, G., L'insieme multistrato. Gruppi, Masse, Istituzioni tra Caos e Psicoanalisi, Armando ed, Roma, 2012.
Margherita, G. et all., Glossario in The complexmultilayerset.
Neri,C., Gruppo (prospettive della ricerca psicoanalitica), Borla ed., Roma,2012.
Ogden, T.H. Reverie e interpretazione, Astrolabio, Roma, 1999.
Ogden, T.H. Al confine del sogno, Astrolabio, Roma.